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Vogue Sposa

La Rosa Manichini

Il manichino made in Italy

di Giacomo Minazzi


Se quelli di Renato Zero erano «senza volto, senza età», quelli di La Rosa, un volto e un’età, più personalità, ce l’hanno certamente. La Rosa, oggi leader mondiale nella produzione di manichini, è nata nel 1922 e inizialmente chiamata soltanto col cognome del suo fondatore, Giovanni Rosa. Nel 1969, Rachele Rigamonti, antesignana delle quote rosa, dà nuova vita alla storica casa milanese iniziandone il nuovo corso.

Partendo dalla produzione di manichini coi volti delle dive del primo dopoguerra, oggi sono le donne più invidiate, quelle dalle pose statuarie che tutti ammirano in bella vista, nelle vetrine, mentre indossano abiti da mille e una notte, sempre diversi e sempre all’ultima moda.

È con Gigi – artista, figlio di Rachele – che i manichini di La Rosa diventano un simbolo, modelli immobili di marchi come Armani, Versace e Valentino, testimoni silenti delle creazioni dei grandi stilisti.

È sempre stato un approccio artistico alla creazione, quello che supera l’idea di un prodotto nascosto sotto un abito, scegliendo, invece, quello di un corpo che ne esalti tagli, forme, scolli ed eleganza. La Rosa viene riconosciuta dai curatori dei più grandi musei del mondo, collabora con la realizzazione di mostre come Bellissima Italy and High Fashion 1945-1968 al MAXXI di Roma e alla Villa Reale di Monza, sbarcando anche a Miami.

Un mondo di storie dietro a questi corpi-manichini, realizzati ancora oggi interamente in Italia, con tecnologie di 3D scan e printing, secondo i nuovi standard ‘eco’ introdotti da Mattia Rigamonti, figlio di Gigi e nipote di Rachele, oggi a capo dell’azienda. È, ancora una volta, la qualità italiana – in tutte le fasi della realizzazione – che segna il passo a fa la differenza.